Peter Lindbergh - Untold Stories
Untold Stories è la prima mostra su Peter Lindbergh curata dall’autore stesso.
A Torino, sarà presentata la versione completa del progetto negli spazi dell’ARTiglieria Con/temporary Art Center dal 13 maggio al 3 ottobre.
Nato nel 1944 e cresciuto a Duisburg, il fotografo tedesco ha trascorso due anni lavorando a una libera raccolta di 140 fotografie che offriranno una visione profonda della sua vasta opera, dai primi anni ’80 ai giorni nostri. La mostra celebra l’eredità di Peter Lindbergh, scomparso nel settembre 2019, e mostra l’approccio molto personale di questo maestro nel suo lavoro.
La mostra è concepita in tre capitoli. Due installazioni di grandi dimensioni completano la presentazione e gettano una luce fresca e sorprendente sul lavoro di Lindbergh. Manifest, la monumentale installazione di apertura, che presenta diversi blueback di grandi dimensioni, è stata sviluppata appositamente per la presentazione e fornisce un’introduzione coinvolgente e stimolante alla comprensione della fotografia di moda di Lindbergh.
Nella sezione centrale della mostra, Lindbergh ha scelto e organizzato insieme le immagini che considerava personalmente fondamentali nell’ambito della sua opera. Ha sperimentato con i suoi materiali d’archivio e ha rivelato nuove storie rimanendo fedele al suo linguaggio. Fotografie emblematiche insieme ad altre mai viste prima, vengono esposte in coppia o in gruppi, dando luogo a interpretazioni inaspettate e suggestive.
La mostra si chiude con la video installazione Testament (2014), che svela un lato fino ad ora sconosciuto della pratica e del carattere del fotografo tedesco. Girato attraverso uno specchio unidirezionale, il video mostra lo scambio silenzioso tra la telecamera di Lindbergh ed Elmer Carroll. Il detenuto nel braccio della morte della Florida ha trascorso 35 minuti a guardare attentamente il suo riflesso: meditativo, introspettivo e con un’espressione facciale minima. Presentata per la prima volta, l’installazione Testament aggiunge una dimensione inaspettata alla mostra e apre una discussione su argomenti che erano di centrale importanza per Peter Lindbergh: introspezione, empatia e libertà.
La mostra è organizzata dal Kunstpalast di Düsseldorf in collaborazione con la Fondazione Lindbergh di Parigi.
Laura Milani
Presidente Paratissima” show_quote_icon=”yes” width=”100″ line_height=”20″ quote_icon_color=”#ffed00″]
“La retrospettiva su Peter Lindbergh (1944-2019) è insieme un omaggio, un ritratto e un autoritratto.
La selezione delle immagini è stata curata da Lindbergh stesso, con una lunga immersione nei suoi archivi attraverso quarant’anni di vita e di lavoro.
Una mostra intima, quasi un testamento inconsapevole, che si sviluppa come un diario, dove Lindbergh si racconta attraverso le sue immagini. Molto le fotografie famose, molte quelle inedite, pagine celebri e altre segrete, untold stories, che ora, tutte insieme, formano un percorso avvolgente e suggestivo.
Sono le immagini a creare la narrazione, a raccontare Lindbergh come le parole non riuscirebbero, instaurando un rapporto diretto con lo spettatore, con un’intimità e una sensorialità che nega la natura fredda e patinata dell’obbiettivo di moda. D’altronde Lindbergh è un fotografo, non solo un’icona di quella fotografia di moda che rivoluzionò all’inizio degli anni Novanta, quando ritrasse un gruppo di giovani modelle sconosciute cogliendole per strada, senza trucco e vestite in jeans e maglietta. Erano Linda Evangelista, Naomi Campbell, Christy Turlington, Tatjana Patitz e Cindy Crawford. Bellissime ragazze vere, ciascuna con una propria personalità.
Qualcosa di completamente diverso dai soliti stereotipi. Uno scatto che la neodirettrice di Vogue, Anna Wintour, usò per la copertina del gennaio 1990, l’inizio del fenomeno delle supermodelle.
Nessuno le aveva mai mostrate come donne, persone, la cui bellezza si anima andando oltre al puro piano estetico. Così è stato per chiunque si sia posto davanti al suo obbiettivo, volti e corpi di attrici, modelle e attori che si rivelano in ritratti intimi e psicologici, profondamente umani e organici. Scatti al naturale, empatici, senza ritocchi in postproduzione.
«Dovrebbe essere questa la responsabilità dei fotografi di oggi: liberare le donne, liberare finalmente tutti, dal terrore della giovinezza e della perfezione», scriveva nel 2015 nel suo libro Images of Women II. Un’attenzione estetica ed etica sulla potenza della verità spontanea della bellezza femminile, che evoca quello della grande fotografa Eve Arnold, colei che raccontava le dive (e non solo) cercando di conoscerle come persone attraverso l’obbiettivo. E così le rendeva stupende e immortali. Vengono anche in mente i ritratti pittorici di Lucien Freud, che tirava fuori dai suoi modelli delle confessioni private, riuscendo a trasfondere nella carnalità dei corpi la loro natura e lo spirito più profondo. Come per Freud, a volte si prova quasi imbarazzo di fronte a personaggi famosi di cui si intuisce l’anima, e se ne percepisce sempre una certa malinconia. Lindbergh, infatti, diceva di non cercare il sorriso nei volti, perché toglie le sfumature e tutto quello che emerge dai lineamenti. E proprio dai volti è partito quando ha scoperto la fotografia, dopo aver fatto il pittore, il vetrinista e altri lavori in giro per il mondo.
Peter Lindbergh | Linda Evangelista, Michaela Bercu and Kirsten Owen, Pont-à-Mousson, 1988 © Peter Lindbergh (courtesy of Peter Lindbergh Foundation, Paris)
Peter Lindbergh | Querelle Jansen, Paris, 2012 © Peter Lindbergh (courtesy of Peter Lindbergh Foundation, Paris)
“Mio fratello ebbe dei bambini meravigliosi prima che diventassi padre io e, per qualche motivo, li avevo voluti fotografare. Fu allora che acquistai la mia prima macchina fotografica. C’è qualcosa di totalmente inconscio nei bambini. È così che ho imparato», dichiarò al Guardian nel 2016.
Nel suo sguardo e nel suo senso compositivo si ritrova il realismo di un certo documentarismo antropologico, da Walker Evans, Garry Winogrand e August Sander a Paul Strand e Dorothea Lange (quale volto ha una bellezza più struggente di quello della donna che guarda l’orizzonte con i figli al collo, vestita di stracci, già vecchia nei suoi trent’anni, simbolo degli Stati Uniti stremati dalla Grande Depressione del 1929?). E si ritrova anche la lezione della street view, l’occhio inquieto che si aggira per le strade metropolitane e ne fotografa scorci e piccoli eventi improvvisi, le masse e gli individui, la solitudine nella folla.
Una visione e un’inquadratura spesso cinematografica, la sua, con immagini in movimento, che a volte sembrano frame estratti da una pellicola e altre fanno riferimento ai set negli studi di ripresa e ai generi del cinema, dall’on the road nel paesaggio americano alla fantascienza. Il suo caratteristico bianco e nero duro e pastoso, fortemente contrastato, ha dentro la forza drammatica del cinema espressionista tedesco, con un’ispirazione diretta a Metropolis, capolavoro visionario del 1927 con cui Fritz Lang realizzò un manifesto d’accusa contro la nascente società meccanizzata e disumanizzante. Un’atmosfera familiare per Lindbergh, cresciuto a Duisburg, cittadina industriale nel nord della Germania.
In mostra, anche un cortometraggio di Lindbergh, Testament del 2013, dove il fotografo realizza il ritratto di Ermel Carrol, un condannato a morte recluso in Florida. La telecamera rimane aperta davanti al suo volto per mezz’ora, diventando uno specchio in cui autore, soggetto e pubblico si sovrappongono dentro a una conversazione che, anche qui, non ha bisogno di parole.
Un’altra untold stories che si rivela in silenzio, a ciascuno con la sua verità”.
Olga Gambari,
Direttrice Artistica Paratissima
Biografia
Conosciuto per le sue memorabili immagini cinematografiche in bianco e nero, Peter Lindbergh è stato pionere di una nuova forma di realismo ridefinendo gli standard di bellezza. Il suo approccio onesto lo distingue dagli altri fotografi poiché dà priorità all’anima e alla personalità dei soggetti ritratti. Lindbergh ha cambiato drasticamente gli standard della fotografia di moda in tempi di ritocchi eccessivi, credendo che “la bellezza è avere il coraggio di essere se stessi“.
Alla fine degli anni ’80, Lindbergh ottiene consensi internazionali e lancia le carriere di una nuova generazione di modelle, fotografandole successivamente con camicie bianche e trucco appena accennato, e subito dopo per le strade di New York per il numero di gennaio 1990 di British Vogue. Considerata da molti come il “certificato di nascita delle top model”, la copertina ora leggendaria ha lanciato la carriera di figure come Linda Evangelista, Naomi Campbell o Tatjana Patitz.
Lindbergh è stato il primo fotografo a includere una narrazione nella sue serie di moda e il suo racconto ha introdotto una nuova visione della fotografia di moda. Il suo lavoro è noto soprattutto per i suoi ritratti singolari e rivelatori e le forti influenze del primo cinema tedesco e dei suoni industriali della sua infanzia trascorsa a Duisburg, nella Renania settentrionale-Vestfalia.
Dalla fine degli anni ’70, Peter Lindbergh ha collaborato con tutti i principali marchi e riviste di moda tra cui le edizioni americana e italiana di Vogue, Rolling Stone, Vanity Fair, Harper’s Bazaar US, Wall Street Journal Magazine, Visionaire, Interview e W. Il suo lavoro è parte delle collezioni permanenti di numerosi musei d’arte e le sue fotografie sono regolarmente esposte in prestigiose istituzioni in tutto il mondo, tra cui il Victoria & Albert Museum (Londra), il Centre Pompidou (Parigi), il MoMA’s PS1 (New York), l’Hamburger Banhof ( Berlino), il Bunkamura Museum of Art (Tokyo), il Pushkin Museum of Fine Arts (Mosca) e più recentemente il Kunstpalast di Düsseldorf.
Portrait Peter Lindbergh | 2016 © Stefan Rappo
Dove e quando
ARTiglieria – Con/temporary Art Center
Via Verdi, 5
Torino
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Lunedì – Martedì – Mercoledì CHIUSO
Dal Giovedì al Venerdì 14.00 – 20.00 (ultimo ingresso 19.00)
Sabato & Domenica 10.00 – 20.00 (ultimo ingresso 19.00)