Da una parte, il desiderio conoscere, scoprire, ripercorrere tracce silenti di una storia fatta per immagini; dall’altra la spinta verso la negazione di questa bramosia, la ricerca di un’astensione dal giudizio, la necessità di lasciare andare una vita che, sì, fa parte di lei ma non la riguarda: così si apre il percorso nell’installazione di Fabiola Colla, mettendo alla mercé dellә fruitorә il diario dei propri pensamenti, delle proprie spinte interiori.
Un passo più avanti e si apre il varco della congiunzione. L’unica storia di cui attraverso l’immagine si ha i termini per parlarne inizia nell’attimo in cui, ancora bambina, dal padre eredita la passione per la fotografia. Con una macchina fotografica a rullino, di quelle che non si usano più, intorno ai sette anni d’età Colla inizia a scattare fotografie di paesaggi familiari. Come allora nella dimora paterna, oggi le stampa in camera oscura e lo fa sulla carta custodita dagli anni ‘70 in quei polverosi faldoni.
È questo il punto focale di tutto il percorso. Il custodire, il prendersi cura, il trattenere ciò che si ha la forza di lasciare andare. Con la sua performance Colla fa allә fruitorә il dono della perdita, regalando negativi, frammenti di una storia che non appartiene a lei come a nessun altrә che quel dono riceve. Eppure si tratta di uno squarcio di vita che, poiché esente da una narrazione univoca, può tutte le storie narrare, può a tuttз appartenere.
Del resto, il dono, in inglese come in italiano, è un presente. Colla non fa che chiedere allә fruitorә, offrendoli in regalo, di custodire gelosamente gli attimi del proprio presente.