Federica Mambrini

Federica Mambrini

Nata a Mantova, Federica Mambrini si è laureata in architettura nel 2017, mentre nel 2021 ha frequentato il Master in Fotografia IUAV a Venezia. Nel settembre 2021 ha esposto al festival Diecixdieci a Gonzaga, e a maggio 2022 ha esposto a Fosdinovo (MC) durante i workshop di Lunigiana Land art. Nel settembre 2022 ha partecipato alla residenza artistica Falìa in Valcamonica. Come costruire un castello di carte, il suo primo progetto di ricerca, è stato pubblicato nel novembre 2022 con Giostre Edizioni. 

IG: @eimraa

Il lavoro di ricerca

La ricerca visiva di Federica ruota attorno ad alcuni tentativi di indagine e sabotaggio di equilibri, pesi e tensioni attraverso un approccio interdisciplinare. Federica proviene da un background architettonico ed è interessata a tutto ciò che è costruito, da costruire o da de-costruire. Parte della sua pratica consiste anche nel lavorare a contatto con la comunità, ed in particolare comprendere i vari processi di coloro che modellano la materia. Il suo lavoro mira a ribaltare lo sguardo ed il pensiero altrui.

Paratissima Factory - The Exhibition IV

Lost in TRANSLATION

Cosa succede durante il processo di traduzione? Cosa sta nel mezzo? Come è possibile non perdersi al suo interno? Uno dei probabili approcci consiste in esplorare i modi in cui è possibile smarrirsi nelle parole attraverso un progressivo e intimo avvicinamento che prescinde la distanza – fisica, culturale e linguistica, avvalendosi di fotografia e architettura.

La traduzione è “ibrida, etica, pensante e poetica, e permette la coesistenza di più significanti”. La fotografia è anche traduzione ed interferisce tra le parti. Lost in Translation si articola in vari capitoli, ognuno dedicato a una differente modalità di esplorazione: tentativi di comprensione di questo spazio invisibile e consistente che la traduzione crea e cerca di riempire. “Come è possibile rappresentare graficamente cosa c’è nel mezzo?” E se possibile, come rappresentare la fallibilità di questo ‘mezzo’?

Il progetto, nel suo capitolo iniziale, un’indagine sulla precarietà, sull’equilibrio e sulle tensioni in una collaborazione oltreoceano per la realizzazione di un ponte – ciò che si trova nel mezzo – destinato a cadere. Ponte o spazio identitario (piazza), la ricerca prosegue in uno studio sui punti di incontro affacciati direttamente sul mare ed importanti dal punto di vista urbanistico, simili per prospettive e percezioni e quindi capaci di ingannare l’occhio.

“Come è possibile essere in un luogo pensando di stare in un altro?” Ecco che nasce la domanda relativa all’estetica del mezzo fotografico, fittizia e mentirosa. Tradurre per riempire un vuoto di comunicazione con il referente. Fotografare una riproduzione, cioè la copia di una copia, vuol dire presupporre la possibilità di una audace menzogna. La fotografia diventa capace di annullare la distanza con il referente. “Ma se c’è un errore di traduzione tra ciò che si fotografa e ciò che viene rappresentato?” La fotografia traduce, ma nella traduzione qualcosa viene sempre perso, ma anche sempre acquisito.

A cura di Giuditta Mottura e Arianna Sollazzo

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Bruno Agnorelli

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