Ed è il momento in cui tutto ha un significato archetipico. Così come la sua fotografia, quando ritrae luoghi naturali, come boschi, cave, grotte. Giacomo con le sue luci svela i mostri nell’ombra, attribuendogli nuovi significati e rappresentando così il complesso gioco tra interpretazione, realtà e immaginazione. In un attento lavoro di recupero antropologico-culturale, in cui la tensione al racconto è rielaborata attraverso la sua immagine, che si fa perno tra mito, paesaggio e l’uomo stesso, in perenne dialogo tra inconscio e suggestione. Come in Eyes Wide Shut, di S. Kubrik, in cui il giovane dottore, di ritorno a casa nella notte, non sa se quella maschera che trova sul letto sia frutto di un sogno o di qualcosa che ha vissuto davvero, così le immagini di Giacomo Infantino vivono al confine di un varco spazio temporale, tra vissuto e immaginato; luoghi sconosciuti, ma che sentiamo appartenerci. In fondo, il testo a cui si ispira Kubrik è “Doppio sogno” di Schnitzler.
E quando si sogna, dov’ è il confine tra vero e falso?