Michele Turbanti

Michele Turbanti

Michele Turbanti nasce a Grosseto nel 1994.

Nel 2013 si trasferisce a Firenze e si iscrive alla facoltà di Architettura. Durante gli studi sviluppa la passione per la fotografia e porta avanti una ricerca trasversale alle due discipline. Interessato alla potenzialità narrativa del mezzo, sfrutta i viaggi di quegli anni per raccontare luoghi e persone attraverso il suo sguardo. Dopo la pandemia decide di dedicarsi alla fotografia, affiancandola a tutti gli effetti al suo lavoro di architetto.

IG: @micheleturbanti 

Michele Turbanti 



Il lavoro di ricerca

Michele si approccia alla fotografia per raccontare esperienze di un mondo contemporaneo dominato da dinamiche economiche univoche e autoritarie, in cui la promessa di una presunta affermazione individuale annienta la coesione sociale. Con l’evoluzione della ricerca il testo si riduce, fino a entrare nell’immagine e crearne una sorta di manifesto. L’obiettivo di Michele è quello di eliminare strato dopo strato, così da raggiungere il più autentico confronto possibile tra lui, l’opera e il fruitore.

Paratissima Factory - The Exhibition IV

QUESTO SPAZIO È CONDIVISO

Un manifesto è un foglio di carta esposto in un luogo pubblico con lo scopo di comunicare qualcosa, solitamente per fare pubblicità. E se invece diventasse un atto politico pensato al fine di portare le persone ad interagire con l’ambiente urbano?

Lo spazio pubblico è continuamente chiamato ad adattarsi ai nuovi stili di vita e rappresenta un’opportunità concreta per sperimentare nuove forme urbane e sociali diventando così principio generatore di cambiamenti positivi sull’intero tessuto cittadino.

Intervenire sulla realtà creando manifesti fotografici, individuare i punti nevralgici e inutilizzati della vita urbana creando nuovi spazi di libera espressione e interazione, e fornendo un elemento di valorizzazione architettonica grazie alla partecipazione di coloro che, quotidianamente, vivono quei luoghi e da cui la progettazione urbanistica dovrebbe ripartire. Il punto di partenza è lo slogan affisso nel luogo di residenza: La Cavallerizza è di tutti.

Questo spazio è condiviso ha come obiettivo l’interazione con gli ambienti urbani caduti in disuso per sottolinearne la necessità di riqualifica, con l’obiettivo di indagarne le potenzialità esplorando quelle pratiche trasformative che si concentrano sul coinvolgimento attivo della collettività. Viene chiesto alla cittadinanza di identificare e definire i luoghi attraverso frasi relative alla gentrificazione e quindi significative per l’artista, avendone come risultato una parziale descrizione soggettiva.

L’opera diventa uno spazio espressivo residuo ma indispensabile, relativo a un terreno interessato dall’insediamento di un’architettura progettata e definita. Ha un carattere volutamente anarchico, privo di forma, ha un’ identità prefissata ma che muta seguendo il volere dei suoi visitatori, e infine si manifesta nell’esposizione come un paradosso: in uno spazio interno, nel luogo da dove tutto è nato, nella Cavallerizza nella quale l’interazione viene volutamente negata.

A cura di Giuditta Mottura e Arianna Sollazzo

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