Sara Fray

Sara Fray

Nata nel 2000 a Reggio Emilia, Sara Fray studia Nuove Tecnologie dell’Arte all’Accademia di Belle Arti di Torino. 

Amante del viaggio, trasporta il fruitore all’interno di percorsi visivi che prendono forma di installazioni multimediali, in cui predomina una leggera confusione di linguaggi. Sperimenta con i nuovi media al fine di creare ambienti in bilico tra natura e tecnologia, ricerca una dimensione altra da trasportare nell’arte, uno spazio parallelo in cui indagare la contemporaneità.

IG: @sarafray__



Il lavoro di ricerca

In che modo i nuovi media possono invitare il fruitore a viaggiare attraverso l’opera, trovandovi uno spazio parallelo in cui esplorare la contemporaneità, ed indagarne i contenuti? Sperimentando con le tecnologie, e sfruttando la programmazione informatica, il lavoro di SARA FRAY si focalizza sulla volontà di trasportare il fruitore all’interno di percorsi visivi interattivi, che prendono forma di installazioni multimediali in cui predomina una leggera confusione di linguaggi.

Paratissima Factory - The Exhibition IV

A-void

Fievoli luci, tediosi suoni, una stanza dominata dalla natura. È il ritorno delle lucciole – di Pasolini e di Didi-Huberman, la rivendicazione della natura.

L’essere umano non è più protagonista assoluto, ma è una delle parti di un tutto che si trova nel mezzo, in equilibrio in una dimensione ‘altra’, interna ed esterna, reale e illusoria.

Immergendosi in questo ‘void’ – vuoto – è possibile giungere alle lucciole ricongiungendosi con la natura, entrando in una appiccicosa rete di connessioni nella quale non si fa più distinzione tra essere umano e non, dove la materia non è solamente inerte, dove non esiste un unico e solo protagonista.

A-void è un racconto in tre atti che, grazie a tecnologia e natura, porta a scontrarsi con l’inquietudine dell’esistenza umana prendendo il coraggio di esplorarla e lasciandosi travolgere dai timori e dalla confusione che la natura stessa trascina con sé. È un finale tragico in cui è possibile trovare conforto. È un caos di luci intermittenti, riferimento alle stelle cadenti e alle lucciole, simboli dell’illusione che ci spinge a non fare i conti con noi stessi e con la realtà che ci circonda. La corsa alle stelle è una fuga, un modo di evitare la realtà. La traccia sonora, ispirandosi al mito di Elettra, riconduce al tema del tempo: ciò per cui l’essere umano ha ucciso la natura.

Siamo spinti ad addentrarci in una foresta di fonemi, in un fitto boschetto capace di dare vita ad un sistema di corrispondenze grazie ad una primitiva scrittura di segni, ognuno legato ad un albero e al corrispettivo legno. Questi arbusti, pilastri del tempio della natura di Baudelaire, vengono utilizzati come simboli in grado di tramandare miti e leggende, e simulano, grazie all’interagire con le strutture visive e sonore dell’installazione, una foresta di connessioni di fievoli luci e tediosi suoni, dominata dalla natura.

A cura di Giuditta Mottura e Arianna Sollazzo

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Yirui Fang

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