Gesualdo Bufalino parla della Sicilia come isola plurale.
Ma quale isola non lo è? Può forse la Sardegna sottrarsi a questa condizione di molteplicità intrinseca? l’Isola in quanto tale è metafora universale; nella sua “finitezza” racchiude manifestazioni chiave, contraddizioni antropologiche, discordanze drammaturgiche che si condensano in una trama identitaria di difficile interpretazione.
È, partendo dall’assetto ambientale per arrivare al teatro sociale, un palcoscenico di estremi. La luce è accecante, senza resa; il vento percuote e lascia nudi con se stessi; i profumi sono di feroce intensità; i rapporti umani conosciuti a memoria nelle regole non scritte; i sentimenti come rasoiate, miti solo in apparenza.
L’identità si equilibra sul doppio passo mito/realtà, cultura/natura, tradizione/progresso e, soprattutto, esterno/interno.
La percezione del limite, il confronto tra il qui e l’altrove, resta la vera urgenza.
Gli scatti di Tiziano Demuro raccontano una insularità che non è solo geografica ma esistenziale; le sue immagini inchiodano con luce impietosa una separazione che da fisica, “regionale”, diventa dissociazione del cuore. Diventa orgoglio, pudore, consapevolezza, resa che è anche forza; diventa accettazione di legami e attesa di un cambiamento in cui non si spera più.