
Anticamera - La consistenza del vuoto
a cura di Alessandro Della Santa, Eleonora Gandolfi ed Elisa Perissinotti
Per definizione, il vuoto è quella dimensione a-materica priva di coordinate spazio-temporali: nella sua essenza è assenza. Eppure, è davvero possibile «pensare il nulla senza mettere automaticamente qualcosa intorno a questo nulla, senza farne un buco nel quale ci si affretta a mettere qualcosa, [...] uno sguardo, un bisogno, un sovrappiù…?». Da tempo, la tendenza umana è stata quella di colmare, cercando attraverso diversi procedimenti – sistemi, ipotesi, formule e concetti – dei modi per sfuggire alle molteplici ambiguità che il vuoto evoca. D’altra parte, è dall’horror vacui aristotelico che emerge l’inclinazione di validare la mancanza come entità, Cháos primigenio, o ancora come quinto elemento, l’etere – sostanza viva e invisibile che permea il mondo fenomenico sopperendo alle sue vacuità.
Ciò nonostante, nell’inconscio collettivo persiste l’immagine di un abisso oscuro, uno spazio di fondo cosmico che, al pari di un buco nero, inghiotte e dissolve. Ma, se persino nella fisica odierna sussiste l’ipotesi di una sua antitesi bianca – regione da cui invece fuoriesce materia, energia e luce – allora si schiude una nuova visione: quella di un vuoto positivo, attivo e generativo. Ecco che il luogo dove risuona l’eco dell’immobilità diviene teatro del possibile.
Traendo spunto dalle filosofie orientali, la nullità perde ogni connotazione negativa e astratta per porsi come perno dell’esperienza, condizione a priori affinché il pieno esista e fluisca. Il Taoismo e il Buddismo Zen condividono nella pratica della meditazione l’idea di vuoto poietico, secondo la relazione di coesistenza dinamica tra elementi complementari. Scrive il Daodejing: «Trenta raggi convergono nel mozzo di una ruota; grazie al suo vuoto, al suo non-essere, abbiamo l’utilità del carro» e ancora: «Ritagliamo porte e finestre nel fare una casa. E grazie al loro vuoto abbiamo l’utilità della casa.» In questo senso, l’assenza custodisce in sé il seme della presenza.
Confrontarsi con la vacuità significa vagare nelle sue contraddizioni: far emergere il visibile dall’invisibile, dare forma all’indefinito, illuminare le ombre, svelare le acromie, cullarsi nelle attese.
Il vuoto si fa così camera d'aria, soglia liminale – ma fertile – in cui tutto può accadere. Un 'pre' celato che trattiene in sé infinite potenzialità di significato e forma. In questo quadro, Anticamera diventa lo spazio fisico dell’attesa, ambiente di snodo dove nell'assenza di funzioni la percezione si dilata e il tempo si sospende. Prima di transitare oltre, essa invita all’ascolto del non visibile, sublimando il vuoto nel suo valore di respiro. Anticamera si presenta come luogo privilegiato per addentrarsi liberamente nella consistenza sottesa del niente; campo zero dove concedersi una pausa meditativa dalla frenesia contemporanea.
ARTIST* IN MOSTRA:
Jenifher Barbuto | Salvatore Cocca | Filippo Cognini | Mariagrazia Degrandi | Walter Dell'Amico | Dalila Di Corso | Silvia Inselvini | Michela Mariotto | Emanuela Mastria | Silvia Montevecchi | Daniela Daz Moretti | Antonio Gualtieri Paternò | Elisa Pellizzari | Maria Chiara Re | Elia Robecchi | Nadia Tamanini
Curatore e curatrici:
Alessandro Della Santa, Eleonora Gandolfi, Elisa Perissinotti
