
Atlanti dell'oblio
a cura di Asia De Palma, Sofia Giuntini e Oyku Atan
In un tempo in cui lo scorrere rapido delle esperienze allontana da una reale connessione con gli spazi attraversati, “Atlanti dell’oblio” invita a sostare ed ascoltare ciò che i luoghi raccontano. Ogni territorio porta in sé una memoria stratificata, una sedimentazione di vissuti, relazioni, assenze. Il paesaggio non è mai solo sfondo né cornice muta. Come scrive Tim Ingold, è “un’entità relazionale” che si costruisce nel camminare, nell’abitare, nel ricordare. La rovina, allora, non è un residuo da dimenticare, ma un dispositivo sensibile: testimonianza materica di ciò che è stato, e al contempo apertura verso ciò che continua a risuonare. Così, lo spazio si fa soglia: tra presenza e sparizione, tra ricordo e rimozione, tra l’intimità del vissuto e la collettività della memoria. Il percorso si articola come un atlante frammentario, personale e collettivo, costruito nei margini: edifici abbandonati, scenari alterati, architetture sospese tra passato e presente, rivelando il continuo rimodellarsi del ricordo sotto l’influsso del tempo e dell’affetto. Sono "geografie della memoria” ma anche “spazi affettivi”, dove il flusso cronologico si intreccia a quello emotivo. Seguendo la teoria di Gaston Bachelard, che ne La poetica dello spazio descrive come ogni angolo dell’abitare rifletta un istante interiore, l'esposizione esplora gli ambienti come proiezioni dell’identità. La casa, la soffitta, la soglia, diventano mappe simboliche dell’inconscio e del vissuto. Quando questi luoghi si sgretolano o vengono dimenticati, ciò che emerge non è solo una perdita, ma un vuoto carico di possibilità, un’assenza che parla. Allo stesso modo, la città, come suggeriva Guy Debord, non è solo un terreno da attraversare, ma teatro di una psicogeografia mutevole. La deriva situazionista rivela l’ambiente come un insieme di forze affettive che agiscono sull’individuo, modificando percezioni e comportamenti. Le rovine urbane — fabbriche dismesse, case svuotate, strade interrotte — non sono solo margini del presente, ma attivatori di memoria e desiderio. Ogni spazio è sempre relazionale, mai neutro. È archivio collettivo, testimonianza viva, scenario in cui il singolare si intreccia al plurale. È in questa tensione tra intimo e sociale, tra abbandono e costruzione, che Atlanti dell’oblio si colloca: una mappa sensibile che restituisce valore a ciò che rischia di essere cancellato, riconoscendo nella memoria non un esercizio nostalgico, ma un atto politico e poetico di permanenza.
ARTIST* IN MOSTRA:
Curatore e curatrici:
Asia De Palma, Sofia Giuntini e Oyku Atan
