Francesca Pazzagli

Federica Pazzagli

Francesca Pazzagli, nata a Cattolica, compie i primi studi a Viserba. Nel 2009 si trasferisce a Bologna dove frequenta il corso di Fumetto e Illustrazione all’Accademia di Belle Arti. Nel 2012 torna a Rimini, dove tutt’ora vive e lavora continuando la sua attività di ricerca.

VARCO

OCCHIO DI LUCE

Il lavoro di ricerca

Le creazioni di Federica sono un gioco, uno scambio di stimoli tra elementi che interagiscono tra loro, fino a creare un’ intesa, un’unione. Sono un’ indagine sulla luce e i suoi significati: da una parte c’è un atteggiamento conciliante ed equilibrante, volto a creare un’armonia; dall’altra assume le vesti di elemento disturbante. Crea un distacco con l’oggetto illuminato, un conflitto e una resistenza. Dove la luce è sempre metafora dell’occhio umano, l’artista indaga le diverse sfumature della psiche.

Effetto Spotlight

Tre due uno, si va in scena. Non sei prontә? Vai in scena!

È tutto buio. Sei solә sul palco. Si accende un occhio di bue che punta direttamente e unicamente su di te. Dalla platea vedi solo una miriade di pupille luccicare nella penombra. Silenzio. Tuttз stanno guardando te. Sono in attesa, qualcunә inizia già a sbadigliare, altrз a tossire. Si stanno annoiando, lз hai già annoiatз. Hanno notato il brufolo sul tuo viso, stanno pensando che il tuo corpo fa schifo, che la tua presenza su quel palco sia assolutamente fuori luogo. Le tue mani sudano, si sono accortз anche di questo. Stanno pensando che sei sei ridicolә. Arrossisci. Il tuo cuore batte talmente forte che lo sentono dai loggioni. Ti manca il fiato, la voce non esce per quel macigno che ti pesa sui polmoni. Vuoi vomitare. Vuoi scappare ma ti senti in trappola. Se vai via fallisci la performance, se rimani continueranno a giudicarti.

Questo è un esempio di ciò che accade nella mente di una persona con disturbi d’ansia sociale ogni qualvolta che entra a contatto con un contesto esterno da sé o, in generale, dalla propria zona di comfort.

Nel suo percorso d’artista, Francesca Pazzagli ha già affrontato il tema del dolore individuale. Oggi ne parla quasi senza metafore, catapultando il fruitore nel contesto immaginario che la mente di chi soffre dell’effetto spotlight crea in un ambiente sociale.

Per farlo, utilizza un materiale specifico, il tessuto olografico. Se non sottoposto a una luce diretta, il tessuto pare possedere un colore tra il grigio e il nero. Illuminato, invece, sprigiona sgargianti cromie arcobaleno. Con questi tessuti, Pazzagli raffigura da una parte occhi e pupille ossessivi e giudicanti puntati verso lә fruitorә, dall’altra un mondo senza codici decifrabili nel quale lә stessә fruitorә, come la persona affetta dal disturbo d’ansia sociale, trova riparo. È quello un mondo in cui la forma, le fattezze del reale – o, meglio, dei codici convenzionali – si perdono e si fanno altro. È un luogo senza giudizi, è il proprio luogo, è un posto migliore.

Viviamo città performanti. Viviamo contesti sociali, familiari, lavorativi in cui ciò che conta è la performance, è lo status che acquisisci accaparrandoti un determinato standard sociale, familiare, lavorativo. È il naturale corso di una società capitalista. La domanda è: dov’è l’individuo in tutto questo? Qual è lo spazio che si dà alla manifestazione dell’umanità, alla manifestazione dell’essere umanз? Cos’è il disturbo d’ansia sociale se non l’ovvio sentimento di inadeguatezza di fronte ai continui stimoli di standard irraggiungibili?

Allora sì, il rifugio in una realtà che decostruisce quella in cui viviamo è forse davvero l’unica soluzione, l’unico vero punto per una ripartenza.

A cura di Stefania Dubla

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Federico Grilli

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