Fortuna De Nardo

Fortuna De Nardo

Fortuna De Nardo vive tra Torino e Salerno, si è diplomata in Nuove Tecnologie dell’Arte presso l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino ed in Grafica d’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli.

I suoi lavori sono stati esposti ad Athens Digital Art Festival (2022), Complesso di San Giovanni, Cava de’ Tirreni (2022), Il Museo di Arte Sacra di Rodello (2022), Museu d’Aigües d’Alacant – Pous de Garrigós, Alicante (2022), SPARC* Spazio Arte Contemporanea, Venezia (2022), Museo Storico Archeologico di Nola (2017) e la Biennale di Salerno (2014).

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Il lavoro di ricerca

I suoi mezzi di espressione sono principalmente la fotografia e la videoarte. È intima, delicata e amante dei fiori. Di solito si nasconde dentro le sue fotografie.

Pairidaēza

Nell’estate che precede la Grande Guerra, Sigmund Freud e due suoi amici passeggiano in un campo di fiori. Sono tutti meravigliati dalla bellezza della natura, eppure i due amici non riescono a gioirne, affranti dal dolore della morte che l’avvento dell’inverno preannuncia sul campo floreale. «L’idea che tutta quella bellezza fosse effimera faceva presentire […] il lutto per la sua fine; e, poiché l’animo umano rifugge istintivamente da tutto ciò che è doloroso, essi avvertivano nel loro godimento del bello l’interferenza perturbatrice del pensiero della caducità».

Eppure la caducità, sostiene Freud, svela quanto effimero sia il desiderio di eternità che senza alcun fondamento razionale pur nutriamo. «Se un fiore fiorisce una sola notte, non perciò la sua fioritura ci appare meno splendida […]: il valore di tutta questa bellezza e perfezione è determinato soltanto dal suo significato per la nostra sensibilità viva, non ha bisogno di sopravviverle e per questo è indipendente dalla durata temporale assoluta».

In Fortuna De Nardo ogni slancio verso l’assolutismo decade spalancando il varco della caducità che in sé contiene il valore dell’hic et nunc latino e dell’aion greco. «Un istante senza spessore né estensione, sempre di già passato ed eternamente ancora a venire»: così Gilles Deleuze tenta di descrivere il tempo greco che non conosce equivalenze in significati odierni.

E come per l’aion, De Nardo porta il fruitore in un tempo e luogo altri che non rispondono a definizioni dai significati chiusi ma che possono essere letti unicamente nella loro corrispondenza a inintelligibili evocazioni ancestrali.

L’opera Pairidaēza ha la capacità di risuonare nell’individuo per quella vibrazione sacrale dal sapore intimo e collettivo insieme, per quella oscillazione di senso tra il raccoglimento personale nel proprio giardino privato e l’accettazione corale del segreto mistico della natura.

Delle edicole votive, che le affollano di immagini la memoria dell’infanzia campana, l’artista prende gli elementi costituenti, quali fiori e luci, purificandoli dai diversi calori antropologici locali per piano piano giungere a un proprio significato di sacralità che non elegge santi ma eleva a un senso altro il fiore in quanto tale, pur e pienamente nella sua caducità.

I fiori dell’installazione di De Nardo provengono dai campi intorno alla propria casa in un piccolo paese in provincia di Salerno. «Mia nonna ha sempre il giardino fiorito, perché per lei una casa senza fiori è una casa senza amore».
State entrando in un tempio, in un angolo sacro per Fortuna De Nardo. Pairidaēza in persiano significa «giardino recinto» e costituisce la radice etimologica del nostro paradiso. De Nardo vi sta facendo dono della perdita, perdita come levigazione dagli orpelli per giungere all’essenza, perdita come qualità intrinseca alla caducità del fiore. Perdita come rinuncia alla intelligibilità delle cose. Per Rudolf Otto il sacro è una categoria a priori dello spirito umano, «irriducibile e inspiegabile, soltanto descrivibile». De Nardo vi invita così ad accogliere l’hic et nunc e a stare nell’aion, in quel frangente in cui la vita accade, senza tentare in alcun modo di comprenderlo.

A cura di Stefania Dubla

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