dando vita a composizioni artificiali, perfetta sintesi dei diversi elementi che interagiscono tra di loro per trasmettere non solo l’essenza stessa di ciò che rappresentano ma anche l’idea di movimento e cambiamento.
A fianco della trasformazione inevitabile della natura, si trova così l’idea di un moto tipico sicuramente dell’atto del camminare, con l’apertura a un tempo intimo e solitario in grado di far cogliere appieno il paesaggio circostante, esplorandolo però senza una meta precisa.
In questo senso, infatti, l’atto del perdersi per lasciarsi guidare dal proprio istinto e dagli stimoli sensoriali che la natura è in grado di sprigionare ha in sé un’ulteriore potenzialità: non è un abbandono totale e incontrollato, bensì è una possibilità di scoperta. L’atto del perdersi, infatti, racchiude in sé una molteplicità di significati: è sì perdere la misura del tempo e dello spazio all’interno dell’immensità della natura, ma è anche un ritagliarsi del tempo e dello spazio per sé, al fine di ri-trovarsi. Così, la perdita controllata del senso dell’orientamento porta all’apertura di nuove strade, di nuovi modi di vedere e intendere ciò che ci circonda. In questo senso, Mi ci sono già persa diventa il manifesto di un attraversamento fisico del paesaggio messo in atto dall’artista che si accompagna però anche a un’esplorazione mentale, la quale parte dall’avanzamento lento per inoltrarsi all’interno della natura, osservandone i dettagli e scorgendone i particolari che risulterebbero invisibili a uno sguardo meno attento e indagatore. L’idea del perdersi nella natura, del lasciarsi guidare nella sua scoperta alla ricerca di una solitudine voluta e desiderata, si accompagna però anche al concetto di esplorazione come viaggio per raccogliere un campionario visivo in continua espansione a ogni passo che si aggiunge al percorso e in costante trasformazione a ogni minuto trascorso lungo il sentiero. Durante il periodo in residenza, Giulia Fumagalli intraprende una serie di tragitti all’interno della natura, per scoprire il luogo e la sua essenza, dando vita a un lavoro che si fa sintesi visiva di tutto ciò di cui ha fatto esperienza lungo questi sentieri. In questo modo, è messo in scena una sorta di grande giardino fiorito, in cui l’elemento artificiale fatto di incontri tra linee e cerchi dà vita a un dialogo costante tra l’uomo e la natura per trasmettere appieno la bellezza del perdersi in un paesaggio per riscoprire le sue piccole e delicate peculiarità.
È così che elementi propri del luogo, come la delicata flora locale, diventano emblemi dello scorrere incessante e inesorabile del tempo e allo stesso modo sono in grado anche di materializzare attraverso l’estetica minimale e geometrica tipica dell’artista l’attraversamento del luogo e la sua conseguente scoperta.
Testo a cura di Alice Vangelisti