Isabella Sommati

Isabella Sommati

Isabella Sommati, livornese di nascita, vive a Milano dove svolge il lavoro di art director per clienti del mondo della moda e del design. Dopo aver visionato e impaginato foto per anni, ha cominciato ad approfondire il mondo dell’immagine e a fotografare. A causa della sua introversione attraverso la fotografia cerca di trovare un punto di incontro tra il suo mondo e il reale.

#Happy Emoji

#bored, 2018

Quale hashtag potrebbe descrivere al meglio ciò che è trascorso? Può un’emoticon comunicare in
maniera efficace ogni tipologia di umore? La fotografia trova il suo senso nel ricordo di una stampa o nel suo apprezzamento sul web? Ben oltre le più rosee aspettative che prevedevano la produzione di 3650 foto all’anno da parte di ogni individuo dotato di cellulare, oggi sappiamo che ogni minuto vengono caricate sulla sola piattaforma Instagram circa 50000 immagini. Ma non basta caricarle: affinché ogni foto, nel momento in cui viene immessa in un flusso di bilioni di scatti, non diventi anonima e perda definitivamente la sua funzione di ricordo occorre “taggare”, collezionare “mi piace” e “repostare”.

L’attimo in cui lo sguardo si sofferma e le labbra si contraggono in un sorriso diventa sempre più raro, la comunicazione si semplifica al minimo, il rischio di consegnare al futuro un’eredità fotografica dispersiva, volubile e sterile è altissimo, l’hastag è la nuova chiave di catalogazione, il “pollice” ciò che distingue il bello dal brutto. Se le foto dei nostri ricordi di bambini venissero scattate adesso, come sarebbero? Con #happyemoji, Isabella Sommati, art director e fotografa milanese di origini livornesi, pone sulla stessa linea temporale e di contenuto gli scatti della sua infanzia e i segni linguistici tipici della comunicazione dei social, nel tentativo di attualizzare la fotografia d’archivio, accendendo i riflettori sulla sua inevitabile spersonalizzazione e volatilità, sempre più vittima della dematerializzazione del web. Che la catalogazione dei nostri ricordi da oggi in poi debba passare attraverso questi espedienti linguistici? Ai posteri l’ardua sentenza.

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Ivana Noto

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