Nina Silla

Nina Silla

Nina Silla nasce a Zagabria nel 1981 dove studia presso la Scuola di Belle Arti e Design, ben presto orientandosi verso la fotografia che rimarrà il suo medium espressivo principale. In seguito studia alla Facoltà di Scienze della Comunicazione, lavorando per testate di fotografia ed esponendo presso musei e fondazioni della città. Dopo un periodo passato in Oriente comincia a prendere vita la sua multimedialità. A Torino studia tecniche teatrali che la porteranno verso ulteriori contaminazioni artistiche, sviluppando il modus operandi del proprio lavoro: partendo da un concept d’azione performativa oltre a immagini fotografiche crea video installazioni, disegni e oggetti installativi, in dialogo fra loro. Vive e lavora a Milano e Torino.

 

La frantumazione dell'Io

Nina Silla sceglie come ambientazione per una recente serie di lavori le cave di marmo di Carrara. Il luogo, già di per sé incredibilmente ricco di suggestioni e di storia, una continua stratificazione senza tempo, rappresenta anche un’insanabile ferita inflitta al paesaggio, a seguito di secoli e secoli di estrazioni. Ogni crepa, ogni singola irregolarità che caratterizza lo scenario, evoca un tormentoso senso di eterna incompiutezza e frammentarietà; una parte che ha perso il contatto con il suo tutto. È proprio in tale luogo che l’artista, servendosi del medium fotografico, mette in scena – quasi si trattasse di una rappresentazione teatrale – una personale riflessione sul concetto di identità.

La connessione con la parte più emotiva e recondita evoca già di per sé una discesa entro se stessi; no scavare che riverbera nel contesto marmoreo della cava. La maschera, simbolo di ambiguità e identità multiple per eccellenza, cela il suo volto, proteggendolo dal mondo. È solo nel riflesso – entro una dimensione liquida e quindi, metaforicamente, inconscia, intima e introspettiva – che essa può esplodere, rivelando così l’Io, nella sua forma più autentica, in tutta la sua nudità e vulnerabilità. Il frammento si ricongiunge all’intero e restituisce un imponderabile senso di vertigine.

Testo critico a cura di Mattia Lapperier

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